Coronavirus e malattie epatiche – Rischio
Covid-19, rischio fino a 4 volte più alto per pazienti con cirrosi epatica
Il coronavirus ha messo a dura prova l’intero sistema sanitario nazionale con ricadute su tutti pazienti in cura per altre patologie, compresi quelli affetti da malattie epatiche. “In Italia c’è una stima di circa 200-250mila persone con patologie del fegato avanzate come le cirrosi. Sono persone in cui una infezione da Covid ha conseguenze più gravi, soggetti che aggravandosi possono andare incontro a serie complicanze e anche al decesso. In un recente studio inglese, che ha analizzato 17 mln di pazienti, si è scoperto che la probabilità che un paziente con cirrosi si ammali di Covid-19 è doppia rispetto a chi non ha la malattia. Uno studio americano ha calcolato in 4 volte questa probabilità”, ha affermato Antonio Craxì, epatologo ordinario di Gastroenterologia dell’Università degli Studi di Palermo, all’Adnkronos Salute in occasione del corso in streaming “Covid 19 e malattie epatiche: Cosa è cambiato con la pandemia?”, organizzato con il contributo di Gilead Sciences. Un importante studio multicentrico italiano, portato avanti nei centri di Pavia, Roma e Milano, ha evidenziato un rischio molto alto per le persone con cirrosi. Estrapolando i dati dei decessi totali Covid registrati fino ad oggi dalla Protezione civile, possiamo stimare in Italia in 6-700 i pazienti con patologie epatiche deceduti nei mesi più caldi della prima ondata della pandemia”, ha sottolineato l’epatologo.
Il rischio per questa categoria di pazienti è quindi importante. “Lancio un appello al ministro Speranza, e spero che quando ci sarà il vaccino, i malati epatici lo possano avere per primi. Inoltre, in Italia c’è un situazione particolare, oltre il 60% dei pazienti con cirrosi ha avuto l’epatite C e tutti sono stati curati con la terapia introdotta da Aifa. Quindi – conclude l’epatologo – tutti i nominativi sono in un database dell’Aifa e queste persone possono essere convocate dall’oggi al domani per fare il vaccino. Spero non si faccia una guerra tra ‘poveri’, ovvero tra i malati, per averlo. Ma anche che si pensi prima alle persone che corrono più rischi per le loro condizioni cliniche”.