Epidemiologia epatite C in Italia: età più a rischio
L’epatite C è una malattia del fegato provocata dal virus HCV e la sua evoluzione si compone di due fasi:
- l’infezione acuta
- l’infezione cronica.
La fase acuta della malattia si verifica subito dopo il contagio: fino a diversi mesi l’organismo produce anticorpi per difendersi dal virus, e nella maggior parte dei casi, durante questa fase l’infezione rimane asintomatica, quindi difficile da diagnosticare. Si presentano sintomi solo nel 5%-10% delle persone dove si possono manifestare ittero, febbre, vomito e nausea, diarrea, dolore generalizzato e affaticamento. Dopo la fase acuta, nel 60%-80% dei casi il virus non viene sconfitto dal sistema immunitario e questo provoca l’inizio della fase cronica dell’infezione: il virus si annida stabilmente all’interno del fegato rimanendo silente anche per decine di anni. Dopo 20-30 anni di infezione, però, oltre il 20% dei pazienti sviluppa cirrosi epatica e fino al 5% tumori.[1]
Per questo suo decorso, l’epatite C è una malattia sotto-diagnosticata, e si stima che in Italia ci siano tra le 71 mila e 130 mila persone che non sanno di aver contratto l’infezione[2].
Fattori di rischio e di trasmissione dell’epatite C
L’infezione da epatite C si trasmette per via ematica, quindi con il contatto diretto tra sangue e una lesione della cute. I maggiori fattori di rischio sono quindi rappresentati dalla condivisione di oggetti appuntiti o taglienti portatori dell’infezione, come rasoi, lamette, aghi e strumenti chirurgici non sterilizzati[3].
Leggi i fattori di rischio dell’epatite C
La popolazione maggiormente a rischio è quella dei tossicodipendenti che fanno uso di droghe per via iniettiva o inalatoria[4] ma in Italia anche la popolazione più anziana rischia di essere interessata dall’infezione cronica dell’epatite C. Fino agli anni 90, l’uso di strumenti medici non usa e getta e di trasfusioni di sangue non adeguatamente controllato hanno contribuito a diffondere la malattia. Solo negli ultimi 25 anni, infatti, sono state adottate nuove pratiche capaci di prevenire e contenere il contagio, come i protocolli di screening delle trasfusioni e l’uso di strumenti e dispositivi ospedalieri monouso[5].
Per questo motivo, tra le persone over 50 che prima degli anni 90 sono state sottoposte a interventi chirurgici e trasfusioni, c’è la possibilità di aver contratto l’infezione[6]. Essere a conoscenza di questa eventualità è fondamentale per informare il medico ed eseguire un semplice test per verificare o meno la presenza di epatite C.
Grazie alle nuove terapie antivirali, l’epatite C è curabile[7] ed è compito di ognuno di noi far emergere il sommerso e contribuire all’eliminazione della malattia.
[1] World Health Organisation, Global Hepatitis Report, 2017 (https://www.who.int/hepatitis/publications/global-hepatitis-report2017/en/); Centers for Disease Control and Prevention (https://www.cdc.gov/hepatitis/hcv/hcvfaq.htm#section1)
[2] EpaC – Epatite C: stima del numero di pazienti con diagnosi nota e non nota residenti in Italia – Aggiornamento 2018. https://www.epac.it/cm-files/2018/09/25/report-epac-2018-summary11-def.pdf
[3] https://www.epac.it/cm-files/2018/09/25/report-epac-2018-summary11-def.pdf p.1
[4] Degenhardt L et al. Global prevalence of injecting drug use and sociodemographic characteristics and prevalence of HIV, HBV, and HCV in people who inject drugs: a multistage systematic review. Lancet Glob Health. 2017;5(12):e1192-e1207.
[5] https://www.epac.it/cm-files/2018/09/25/report-epac-2018-summary11-def.pdf p.1
[6] https://www.epac.it/cm-files/2018/09/25/report-epac-2018-summary11-def.pdf, p.1
[7] Le Infezioni in Medicina, Speciale 4, 5-20, 2020 – The Official Journal of the Italian Society of infectious and tropical diseases.
CODICE: IT-HCV-2021-02-0026
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