L’HCV è ancora uno dei fattori di rischio principali per il cancro al fegato

Tra le molte e serie conseguenze dell’epatite C c’è anche il cancro al fegato. L’infezione cronica da HCV, infatti, è ancora oggi uno dei principali fattori di rischio del carcinoma epatocellulare, che insieme alla cirrosi rappresenta la prima causa di morte in questi pazienti. Si stima che le persone con epatite C cronica abbiano un rischio di sviluppare un epatocarcinoma dalle 10 alle 20 volte più elevato rispetto alla popolazione generale[1]. La prognosi, come accennato, è infausta: a cinque anni dalla diagnosi la sopravvivenza è solo al 22%[2].

Perché l’infezione da HCV favorisce il cancro al fegato

A innescare lo sviluppo della neoplasia sono i continui danni al fegato che l’infezione da HCV cronica comporta. Non solo il virus, per replicarsi, compromette le cellule, ma anche l’infiammazione, indotta dall’azione del sistema immunitario nel costante tentativo di debellare l’infezione, aggrava le condizioni dell’organo. Di conseguenza il fegato va incontro a ripetuti cicli di rigenerazione cellulare, che aumenta le probabilità di accumulo di mutazioni genetiche. Inoltre, i ripetuti danni al tessuto del fegato inducono la formazione di tessuto cicatriziale (fibrosi) che alla lunga compromette la funzionalità dell’organo. Se l’epatite C non viene curata, dunque, nel tempo la fibrosi epatica si aggrava sfociando in cirrosi, una condizione grave che porta con sé alterazioni strutturali del fegato e un ridotto flusso di sangue. Tutti fattori che aggravano la patologia epatica e aumentano il rischio di insorgenza di un tumore1,[3].

Gravità della malattia epatica, genotipo virale, età avanzata, obesità, consumo di alcolici, diabete concorrono ad aumentare il rischio di epatocarcinoma. Ma c’è una buona notizia: se l’epatite C viene curata – e oggi esistono terapie che assicurano l’eradicazione di HCV dall’organismo nella stragrande maggioranza dei casi[4] -, il rischio di carcinoma epatocellulare si riduce in modo significativo. Perciò, tanto prima il meccanismo patologico che porta a fibrosi e cirrosi viene interrotto, tanto minore sarà la probabilità di sviluppare un tumore del fegato1,3.

Anche al raggiungimento di quella che in gergo tecnico si chiama risposta virologica sostenuta (cioè quando il virus non è più rilevabile nell’organismo), le linee guida europee (EASL) raccomandano comunque il monitoraggio per epatocarcinoma di tutti i pazienti cirrotici e lo screening mediante ecografia ogni sei mesi dei pazienti con fibrosi avanzata3,[5] .

“Materiale di carattere informativo non riferibile a contenuti di prodotto e non finalizzato alla promozione del farmaco”

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[1] McGlynn KA, Petrick JL, El-Serag HB. Epidemiology of Hepatocellular Carcinoma. Hepatology. 2021 Jan;73 Suppl 1(Suppl 1):4-13.

[2] AIOM-AIRTUM, “I numeri del cancro in Italia 2021”, Gruppo di lavoro AIOM, AIRTUM, Fondazione AIOM, PASSI [https://www.aiom.it/wp-content/uploads/2021/10/2021_NumeriCancro_web.pdf]

[3] Ahumada A, Rayón L, Usón C, Bañares R, Alonso Lopez S. Hepatocellular carcinoma risk after viral response in hepatitis C virus-advanced fibrosis: Who to screen and for how long? World J Gastroenterol. 2021 Oct 28;27(40):6737-6749.

[4] WHO, Hepatitis C [https://www.who.int/news-room/fact-sheets/detail/hepatitis-c]

[5] European Association for the Study of the Liver.EASL Clinical Practice Guidelines: Management of hepatocellular carcinoma. J Hepatol. 2018 Jul;69(1):182-236. Erratum in: J Hepatol. 2019 Apr;70(4):817.